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martedì 31 marzo 2015

PSICOSOMATICA E CANCRO

Vi proponiamo il seguente articolo scritto dal Dott. Alfredo Ferrajoli.


PSICOSOMATICA E CANCRO: LA VISIONE ANALITICA REICHIANA E BIOENERGETICA E IL POSSIBILE RUOLO DELL’EDUCAZIONE COERCITIVA (Relazione presentata dal Dr. Alfredo Ferrajoli al Convegno Emozioni e Cancro. Articolo pubblicato sulla rivista specializzata “Medicina psicosomatica”)



Le attuali ricerche in ambito psicobiologico affermano l’esistenza di una relazione significativa tra eventi stressanti, caratteristiche di personalità e neoplasie. In particolare, affermazioni tratte da indagini retrospettive, tendenti ad investigare sulla storia anamnestica di persone affette da tali patologie, sono state confermate da ricerche longitudinali-prospettive, in cui un campione di persone sane è stato seguito nel corso degli anni allo scopo di valutare la differenze a livello di personalità e di life-events fra soggetti che avrebbero sviluppato neoplasie e soggetti che non avrebbero sviluppato questa patologia. 
Secondo tali ricerche, l’impiego di meccanismi psicologici di difesa del tipo rimozione-diniego (repression-denial) e la maggiore frequenza di eventi esistenziali stressanti sono associati ad un aumentato rischio di neoplasie.
Vari autori come ad esempio LeShan L., Bahnson C.B., Thomas C.B., hanno da tempo segnalato la presenza in questi pazienti di gravi disturbi nei primi rapporti oggettuali con le figure parentali e notevoli difficoltà nella creazione di schemi comunicativi validi sul piano affettivo ed emozionale. Essi sottolineano la presenza di un’ambiente familiare freddo e distaccato, basato su patterns relazionali che predispongono all’isolamento, al non coinvolgimento affettivo e al distanziamento emotivo fra i componenti familiari.
Anche autori di lingua tedesca affermano che i soggetti predisposti alla malattia neoplastica hanno sperimentato in età infantile carenze emozionali e affettive nel rapporto con i genitori, compensate solo parzialmente attraverso meccanismi basati sulla razionalizzazione e sulla repressione dei propri desideri .
In Italia, Pancheri P. riferisce, avendo presente il concetto di imprinting, come la presenza di schemi mentali legati a esperienze precoci possono essere fissati in tracce mnestiche emozionali riattivabili nel loro complesso in fasi successive dello sviluppo.
Reich W., già nel 1948, dopo lunghi studi sulla biopatia del cancro, aveva affermato l’esistenza di una relazione di questa malattia con le funzioni psichiche e chimico-fisiche dell’attività bio-emozionale dell’organismo all’inizio del suo sviluppo. Per questo egli aveva avvertito l’intera comunità umana dell’importanza fondamentale del rapporto madre/bambino fin dalle primissime fasi della vita embrionale – recentemente confermata da ricerche di psicologia prenatale – e, in generale, del ruolo svolto dall’educazione. Egli individuò nel movimento fisico la caratteristica naturale più importante presente nel bambino e intuì quanto esso fosse fondamentale per le funzioni bioenergetiche della vita.
E’ attraverso il movimento e la respirazione infatti, come ebbe modo successivamente di approfondire e sviluppare A. Lowen, che il bambino interiorizza, esteriorizza ed esprime la sua gioia di vivere.
Se avessimo la fortuna di incontrare bambini piccoli intenti a giocare con il liquido fondamentale della vita quale l’acqua rappresenta e fossimo sufficientemente aperti nei confronti della loro esperienza, potremmo renderci conto che queste attività naturali di gioco, rappresentano, per loro caratteristica, il protendersi e insieme l’espandersi nel piacere e nella gioia di vivere.
Gli ammalati di tumore, afferma A. Lowen dopo una vastissima esperienza psicoterapeutica, “ … da piccoli sono stati costretti a sottomettersi alle richieste dei genitori i quali violarono la loro integrità attraverso un reale o minacciato ritiro dell’amore …” .
Alexander Lowen è il referente più importante, egli infatti è il fondatore dell’Analisi Bioenergetica e dell’International Institute for Bioenergetic Analysis con sede in New York ed ha fornito il modello teorico-esperienziale al quale io faccio riferimento nel presente articolo.
Secondo questo modello analitico, la minaccia del ritiro dell’amore come avvertimento inferto dal genitore a un bambino piccolo può venire da questi percepita come minaccia alla sua stessa esistenza essendo essa dipendente dall’amore dei genitori. In questo modo, bambini piccoli possono sentire di non essere accettati per quello che sono e per ciò che sentono.
L’ambiente comunica, in vario modo infatti, che essi devono rivedere il loro essere se stessi e il loro rapporto con il mondo. Ripetuti tentativi di minaccia possono portare questi bambini a sentire dentro di loro l’urgenza impellente di dover conformarsi alle richieste dell’ambiente per sfuggire al sentimento di paura insito nella minaccia. Ecco allora che essi possono sentirsi costretti a negare a se stessi quei bisogni naturali di piccoli cuccioli di uomo che non sono ammessi dal potere dell’educazione genitoriale ed è in questo modo che essi possono perdere il contatto con i loro bisogni e, in definitiva, con quello di più naturale che è presente in loro.
Dalle lusinghe di un’educazione coercitiva questi bambini sono persuasi a cambiare l’immagine che essi vanno costruendo di sé con quella che i genitori vorrebbero che loro avessero.
Nella personalità, anche pre-morbosa, dei soggetti affetti da cancro, questa facciata esteriore esiste e consiste, secondo Alexander Lowen, nel “dover mantenere un atteggiamento ottimista, positivo”, nel “dover fare la cosa giusta”, nel negare, consapevolmente o no, il vero sentimento sottostante di disperazione che, come riferisce LeShan, “ … è l’elemento basilare nella vita emotiva del paziente malato di cancro … una nera, completa assenza di speranza circa la possibilità di raggiungere nella vita qualsiasi significato, interesse o vivacità. L’opinione di LeShan è che il malato è vissuto con questi sentimenti per tutta la vita, ma ha represso ogni emozione collegata ad essi. Non si arrabbia, né piange per la sua disperazione. Il suo atteggiamento basilare consiste nel cercare di ottenere amore e contatto facendo ciò che ci si aspetta da lui, con l’essere buono e utile”.
Questi pazienti tendono ad essere remissivi e a sottomettersi nei confronti delle situazioni della vita covando dentro di loro rabbia, impotenza, rassegnazione.
Reich a tal proposito afferma che la componente psicologica della “rassegnazione caratteriale”, come egli stesso la definisce, è collegata ad un collasso del sistema energetico e rappresenta “ … la prima fase di un lento processo involuto”, consapevole o meno, “risultante da un’alterazione nella scarica dell’energia …” (12) che rimanendo bloccata e ristagnando può dare origine al cancro.
Secondo la vastissima esperienza clinico-terapeutica di Alexander Lowen, molte persone affette da questa malattia possono essere portate a credere di “stare combattendo per la loro salute e per la vita, in realtà, ad un livello inconscio più profondo, esse si sono arrese .
“ … Molto tempo prima che subentri il danneggiamento biologico diretto”, afferma W. Reich, “sono però disturbate le funzioni fisiologiche e caratteriali: la capacità di contatto nel rapporto sociale, la gioia di vivere, di provare piacere, la capacità di lavorare, la pulsazione e l’emozione vegetativa” .
La rassegnazione caratteriale, presente anche in queste funzioni, secondo questo studioso, precederebbe quella sorta di indebolimento dell’apparato vivente al quale egli dà nome di “atrofia biopatica”, caratteristica sostanziale della canceropatia della quale “il tumore locale è soltanto uno dei sintomi e non la malattia medesima” .
Bahnson C.B. e Bahnson M.B. hanno elaborato un modello basato sull’ipotesi di una “complementarietà psicofisiologica” tra malattie psichiatriche e malattie somatiche. Il cancro, secondo questa impostazione, viene visto come un’alternativa alla psicosi: le difese psicologiche di tipo proiettivo predisporrebbero l’individuo ad una regressione sul piano comportamentale esponendolo a pericoli di malattie mentali più o meno gravi, mentre le difese psicologiche del tipo rimozione sarebbero maggiormente responsabili dell’insorgere di malattie a maggior impronta organica come l’isteria di conversione, le malattie psicosomatiche e il cancro.
Secondo A. Lowen, “il meccanismo di negazione rappresenta un freno per il sistema energetico di queste persone che lentamente indebolisce” .
Secondo LeShan, esisterebbe una stretta relazione fra caratteristiche di personalità, rappresentate in particolare da tratti depressivi, ridotta capacità di coinvolgimento emozionale, difficoltà nell’espressione di sentimenti ostili e lo sviluppo della malattia neoplastica .
Esisterebbe anche un rapporto diretto tra eventi stressanti, particolarmente la perdita di un’importante relazione affettiva, e lo sviluppo o la riattivazione di un processo neoplastico (15,16).
A tal proposito, Conti C. e Nervi C. riportano le ricerche di Stoll A.B. che testimoniano il caso di tre donne mastectomizzate da circa venti anni, decedute in seguito alla comparsa di metastasi a pochi mesi di distanza dalla morte dei rispettivi coniugi (17).
Eventi fortemente traumatici come questi sarebbero responsabili dello “sconvolgimento del progetto esistenziale dell’individuo destabilizzando meccanismi di difesa troppo rigidi o poco strutturati” (18).
Il trattenere, poi, dentro di sé il dolore, lo scarso contatto con i sentimenti di lutto e con il pulsare vivo delle emozioni esprime quell’atteggiamento di chiusura verso il mondo e verso la vita tipico del malato di cancro. Il carattere, anche pre-morboso, del canceroso difetta infatti di quell’aggressività che costituisce l’essenza della vita e che si manifesta attraverso il protendersi verso il mondo per ottenere il soddisfacimento dei propri bisogni e l’autorealizzazione.
Questa caratteristica è relativa anche all’indebolimento dell’energia vitale che è presente nel processo biologico naturale dell’invecchiamento ma, mentre nell’età avanzata, come avverte Lowen, i bisogni e i desideri sono portati a diminuire d’intensità per la naturale diminuzione della forza vitale, nei pazienti giovani affetti da cancro si assiste alla presenza di bisogni e desideri molto forti mentre risulta debole l’aggressività necessaria per il loro soddisfacimento.
Secondo A.Lowen, il cancro è una contrazione del sé in quanto aumentate e costanti condizioni di frustrazione e mancate e ripetute realizzazioni del piacere indeboliscono l’impulso all’espansione e al protendersi impedendo, per questo, la piena espressione del sé.
Per invertire questo processo è necessario innalzare il livello di energia, intervenire sulla capacità di provare piacere e rafforzare il sé attraverso un’opera di intensa autoespressione.
La terapia bioenergetica essendo una terapia analitica aiuta inoltre l’individuo ad essere consapevole delle sue dinamiche psicologiche interiori allo scopo di gestire meglio conflitti irrisolti; in particolare il problema terapeutico nella relazione con questo tipo di pazienti sta nel ristabilire la loro progettualità esistenziale e nel far sviluppare in loro la capacità di provare piacere. Ma, come avverte ancora Lowen, “ … non è un compito facile, dato che questa non è solo una struttura di personalità affamata di piacere ma anche una struttura che non è più in grado di percepire tale fame; è ormai profondamente radicata la mancanza di speranza riguardo ad una vita che possa essere qualcosa di più di una lotta, che possa essere realmente godibile” (11).
Hughes J (19) e Davies (20), nelle loro ricerche hanno evidenziato come i soggetti a lunga sopravvivenza tendano ad esternare sentimenti aggressivi e ostili e quindi a fare uso di meccanismi di difesa del tipo proiezione.
Biondi M. e Grassi L. riportano le ricerche di Weisman e Worden che hanno sottolineato una maggiore sopravvivenza nei soggetti che si presentavano meno stressati emozionalmente e più reattivi nei confronti della malattia e che potevano contare sull’appoggio di persone con le quali avevano instaurato una stretta relazione confidenziale (21).
Fra gli studi prospettivi finora pubblicati anche lo studio di Shekelle R. e coll. è importante ai fini della nostra indagine (22).
Questa ricerca, effettuata mediante l’M.M.P.I. su una popolazione di base di 2107 soggetti normali, riporta i profili medi dei soggetti che hanno successivamente sviluppato una patologia tumorale dopo un periodo di osservazione della durata di diciassette anni.
Tale ricerca riferisce che il gruppo dei “candidati al tumore” differiscono statisticamente in maniera significativa a livello della scala “D” del test con valori superiori rispetto al gruppo che non aveva sviluppato la patologia tumorale.
Come affermano Mosticoni R. e Chiari G., la scala “D” dell’M.M.P.I. è associata a caratteristiche di personalità di tipo depressivo, con tendenze introversive, difficoltà a manifestare ed esprimere le emozioni, all’introiezione dell’aggressività (23).
Wilhelm Reich, come ho già detto, aveva riferito dell’esistenza, pre-morbosa, di questi tratti caratteriali presenti nei pazienti cancerosi che egli definì affetti fondamentalmente da “rassegnazione caratteriale” ed è per questo che considerò il cancro come una malattia generalizzata che coinvolge l’individuo nella sua totalità (10).
Anche per A.Lowen, il tumore non è altro che un sintomo del disagio che affligge tutto il corpo. Tale disagio consisterebbe in un processo di contrazione (afferente al momento della scarica dell’energia) e rappresenterebbe un crollo energetico dell’organismo diminuendo questi la forza nella capacità di assumere energia nell’espansione (afferente al momento psicobiologico della carica). Viene meno in questo modo l’impulso a protendersi verso il piacere e il contatto con la vita diventa progressivamente più debole.
Wilhelm Reich, nell’opera “Biopatia del cancro”, ci illustra una sorta di sintesi del processo vitale in cui si incontrano processi psicobiologici presenti in quello che egli definisce “quadriritmo”: gonfiamento-tensione > espansione-carica > contrazione-scarica > sgonfiamento-distensione. Egli ebbe modo anche di sottolineare l’importanza fondamentale svolta dalla respirazione: una respirazione esterna poco profonda apporta nei tessuti e nelle cellule poco ossigeno, affermò.
Citando un lavoro di un biologo dell’epoca, Otto Warburg, egli afferma che “ … i cancerostimoli più diversi hanno in comune un elemento: essi producono una locale carenza di ossigeno, da cui – nelle cellule colpite – deriva una perturbazione respiratoria. La cancerocellula ha quindi una cattiva respirazione con limitate proprietà ossidanti … Warburg vede nella mancanza di ossigeno – che conduce alla perturbazione respiratoria cellulare – una causa dello sviluppo del cancro …” (10).
In questo senso una respirazione esterna poco vitale disturberebbe gravemente la respirazione interna degli organi, cioè l’approvvigionamento di ossigeno e l’eliminazione dell’acido carbonico nei tessuti e predisporrebbe al cancro.
Affinché la respirazione possa fluire in modo libero e naturale è necessario operare un contatto con ciò che sentiamo dentro di noi.
Se reprimiamo i nostri sentimenti o non ci concediamo di viverli e sentirli, la nostra respirazione, necessariamente, diverrà contratta, superficiale.
La soluzione finale, comunque, al problema cancro, secondo W.Reich, sta nel prevenire la malattia a partire dal concepimento e dalla relazione precoce madre-bambino. Egli non vede, infatti, di buon occhio parte del nostro modo di educare i bambini poiché, considerando poco importanti i bisogni emotivi di questi, li predispone alla rassegnazione caratteriale e a corazzamenti muscolari di ogni tipo.
“ … L’educazione di tipo repressivo è responsabile dell’infelicità dell’epoca corrente e del conseguente ristagno dell’energia biologia dalla quale ha origine il cancro” (10).
L’educazione repressiva è anche responsabile di massicci sentimenti di rabbia che non essendo mobilizzati rimangono intrappolati nel corpo sotto forma di tensioni muscolari croniche.
Secondo A.Lowen ciò sarebbe presente anche nel paziente affetto da cancro e potrebbe essere dimostrato dalla presenza di sempre più frequenti lesioni metastatiche sviluppate a livello della colonna vertebrale. Questo studioso è orientato a credere che ciò possa essere dovuto a un crollo dell’impulso aggressivo, impulso che fluisce lungo le ossa della schiena.
E’ infine riconosciuto, da più parti, che variabili di tipo psicologico “ … sono in grado di ricoprire un ruolo non secondario non solamente ai fini del reinserimento, ma anche a fini diagnostici … recenti studi hanno mostrato come, in un approccio multidisciplinare alla malattia neoplastica, il trattamento psicologico e/o psicoterapeutico rappresenti un aspetto importante del programma terapeutico, sia per affrontare e gestire i numerosi stressors a cui il paziente è sottoposto durante l’intero arco della malattia, sia per il possibile ruolo che fattori di natura emozionale possono avere sul decorso e quindi sulla prognosi (17).
Nel contesto delle terapie oncologiche integrate, privilegianti approcci olistici, globali, al paziente, risulta essenziale, per quanto detto, il ruolo svolto dalla psicologia e dalla psicoterapia.
Il presente lavoro riferisce le recenti ricerche internazionali in psicobiologia dei tumori che affermano sempre di più l’esistenza di una relazione significativa tra eventi stressanti, caratteristiche di personalità – rappresentate in particolare da tratti depressivi, ridotta capacità di coinvolgimento emozionale, difficoltà nell’espressione di sentimenti ostili – e lo sviluppo della malattia neoplastica. In esso sono riportate le geniali intuizioni avute da Wilhelm Reich nei lontani anni ’40. Egli aveva affermato l’esistenza di una relazione di questa malattia con le funzioni psichiche e chimico-fisiche dell’attività bioemozionale dell’organismo all’inizio del suo sviluppo. Per questo egli avvertì l’intera comunità umana dell’importanza fondamentale del rapporto madre-bambino fin dalle primissime fasi della vita embrionale e, in generale, del ruolo svolto dall’educazione. Egli non vide di buon occhio parte del nostro modo di educare i bambini poiché, considerando poco importanti i bisogni emotivi di questi, li predisporrebbe alla rassegnazione caratteriale e a corazzamenti e tensioni muscolari di ogni tipo. L’educazione di tipo repressivo, egli affermò, è responsabile dell’infelicità dell’epoca corrente e del conseguente ristagno dell’energia biologica dalla quale ha origine il cancro. Più tardi un suo allievo, Alexander Lowen, individuò nel movimento fisico la caratteristica naturale più importante presente nel bambino e intuì quanto esso fosse fondamentale per le funzioni bioenergetiche della vita. Secondo questo studioso, il cancro è una contrazione del sé in quanto aumentate e costanti condizioni di frustrazione e mancate e ripetute realizzazioni del piacere indeboliscono l’impulso all’espansione e al protendersi e impediscono – per questo – la piena espressione del sé.

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